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Aiutarli a casa loro. Esportare carità o progresso?

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Il caso dei pescatori del Senegal che l’Occidente prima affama e poi respinge

La puntata di ‘Presa diretta’ di ieri sera era dedicata alla pesca, quella sostenibile e quella selvaggia. Un reportage che consiglio di guardare, perché interessante e ben fatto, e perché – in realtà – apre spazi di riflessione su molti argomenti, non solo quello ittico.

Per esempio, la parte sul Senegal. La giornalista ha visitato il Paese africano, documentando l’impoverimento dei pescatori locali a causa della pesca intensiva dei grandi pescherecci provenienti da Europa, Russia e Oriente: in pratica, tutto il mondo va a pescare al largo del Senegal (mica tanto, visto che una nave spagnola si è arenata poco distante dalla costa e il relitto è ancora lì in attesa di essere spostato e la multa per la pesca ilegale aspetta ancora di essere pagata) e al Senegal non rimangono che le briciole, ovvero i pesci piccoli, di un mare altrimenti molto pescoso. Per questa ragione, hanno spiegato alcuni abitanti del villaggio visitato da ‘Presa diretta’, i giovani del luogo emigrano in Europa.

Lo fanno da ‘clandestini’ e via mare, in un viaggio molto rischioso fino alle Canarie, lembo estremo d’Europa (un po’ come lo è Lampedusa). Lo fanno per fame e non per sfuggire a una guerra. Dunque, non avrebbero diritto a fare richiesta di asilo in Italia: fanno parte di quella categoria che la Lega Nord riassume nello slogan “aiutiamoli a casa loro”.

Li aiutiamo dopo averli affamati? Ho riflettuto su cosa significhi ‘aiutarli’ lontano dalla nostra vista. Significa “diamogli dei soldi, facciamo loro un po’ di carità, in modo che non vengano a romperci le scatole qui”. Non significa promuovere un reale progresso o sviluppo nei Paesi africani, per esempio. Significa mantenere l’Africa nella condizione in cui è, affinché non ci faccia concorrenza per l’accesso al cibo e alle risorse naturali, dandole in cambio un po’ della nostra carità a distanza.

Non sarebbe un aiuto importante imporre a noi stessi delle regole di rispetto delle risorse ambientali africane, quello stesso rispetto che chiediamo quando qualche straniero viene in Italia a sfruttare le nostre risorse? Se quella degli immigrati è “un’invasione”, lo sfruttamento intensivo di risorse altrui non è forse ‘depredare’?

Written by Pitrocchio

5 ottobre 2015 at 10:00

Gli indignati di professione oggi sono tutti Charlie

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Ma il passo tra solidarietà e martirio è breve: non percorriamolo, per pietà umana

No, non sono Charlie. Non lo sono perché non ho mai avuto occasione di comprare quella rivista o di leggerne con regolarità le vignette. Non sono Charlie, ma non sono neppure uno di quelli che condivide o tollera la violenza per zittire la satira. Non sono Charlie, semplicemente perché sono contro l’ipocrisia: dove eravate tutti voi novelli fan di Charlie Hebdo quando una molotov venne lanciata contro la redazione del giornale, poco tempo fa?

Credo che pochi o nessuno in Italia, e io sono compreso, sapesse di quell’attentato intimidatorio. Eppure era allora che occorreva maggiore solidarietà a Charlie. Perché era esposto alle minacce e – al contempo – non c’erano ancora stati i morti. Adesso, tutti Charlie. Tutti a cercare di far vedere quanto impegnati e anticlericali siano: ma in quanti hanno avuto tra le mani una copia – una soltanto! – di Charlie Hebdo?

Accetto malvolentieri questa indignazione da pc, da social network, in cui basta condividere una foto o una frase a effetto per sentirsi migliori, per sapere di essere ‘dalla parte giusta’. Non resta che un unico gesto di pietà umana: non fare dei morti dei simboli, dei martiri.

È quello che farebbe la religione.

Written by Pitrocchio

7 gennaio 2015 at 19:47

Scattano le indagini – La ginecologia sotto inchiesta

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Aborto e fecondazione assistita: si discute, si polemizza e si battaglia. Sul corpo delle donne

Il fine settimana appena trascorso ci ha restituito due cronache sanitarie che appartengono allo stesso campo, ma che si proponevano esiti opposti. Una triste storia arriva da Torino e racconta di una donna che vuole interrompere una gravidanza e che per questa ragione, forse, muore. L’altra storia – romana, questa volta – ci racconta dello scambio di embrioni impiantati a una donna che, invece, cercava aiuto medico per avere una gravidanza.

La prima considerazione sarà banale, ma è lampante – per quanto non lo abbia sentito nominare molto in questi giorni di dibattiti: stiamo parlando del corpo delle donne. Su questo ‘campo’ si giocano battaglie etiche, mediche, legali, politiche, sanitarie al limte anche economiche: e se di sofferenza si vuole parlare, lo si fa retoricamente, citando i casi delle coppie che vanno all’estero per procreare perché l’Italia non lo permette agevolmente per questioni di soldi o di legge assurde. Nel gioco della cronaca, fa più notizia la morte oppure dei dettagli inutili che tratteggiano qualcosa che va oltre il corpo della donna: la trentasettenne di Torino è ‘No Tav’, ‘maestra d’asilo’, per lei i compagni del centro sociale Gabrio chiedono un funerale al centro sociale. Ma come al solito ci perdiamo nei dettagli, nelle voci che giungono da lontano e che nulla aggiungono al fatto.

Ma facciamo un passo avanti, ovvero l’allarme che si produce attorno a un farmaco quando (forse) ha prodotto una tragedia: che la Ru486 non sia un farmaco qualsiasi, è evidente a chunque abbia seguito un minimo di dibattiti sull’aborto, sulla legge che lo regola, sull’obiezione di coscienza garantita ai medici cattolici che possono rifiutarsi di adempiere il proprio compito sanitario per ragioni di ‘coscienza’. Nel mondo ci sarà pur qualcuno che muore dopo aver preso un’Aspirina, ma non per questo si apre il dibattito sull’utilità di somministrare il medicinale. Cosa fa notizia, cosa fa scalpore? Non la donna morta, ma la pillola abortiva che uccide una donna: non è la donna morta a essere ‘notiziabile’, ma il fatto che ad averla uccisa sia un medicinale controverso.

Del resto, destino analogo tocca alle coppie coinvolte nello scambio di embrioni: come si sentiranno quelle famiglie, quei futuri padri e quelle future madri? Non interessa, o almeno non più di tanto, perché ciò che conta maggiormente è riaprire il discorso sulla fecondazione assistita nei giorni in cui la legge 40 (una delle tante memorabili riforme dei luminosi governi Berlusconi) ha esaurito la sua vita perché dichiarata incostituzionale. Una notizia è una notizia, certo, e va data alla pubblica opinione: peccato però che la pubblica opinione abbia poco a cuore le sorti della coppie che non possono avere figli per le più svariate ragioni e che pensano di ricorrere alla fecondazione assistita medicalmente. Questo perché, tra chi vorrebbe ricorrere alla fecondazione assistita ci sono anche coppie dello stesso sesso (i gay! Ommioddio!) o i single, tanto per dirne un paio che generano diversi grattacapi morali.

L’errore avvenuto nell’ospedale di Roma è imperdonabile, e pone la coppia coinvolta nel dilemma di non sapere cosa fare, cosa provare a livello di sentimenti, a proposito dei gemelli che la donna porta in grembo. Sono suoi, pur non essendo suoi figli. E quando nasceranno, a chi andranno – qualora venisse confermata la loro estraneità alla famiglia che li ha ‘concepiti’? Ancora una volta, in ballo c’è il corpo delle donne, di una donna, con in più due aggravanti: la stabilità psicologica di una famiglia e quella di due nascituri.

Di chi è la colpa di queste sofferenze? Certo, non dell’informazione – che non ha prodotto il problema, ma lo ha al più segnalato – né della scienza medica – che a sua volta produce possibilità e strumenti per migliorare la vita delle persone, ma non può nulla contro l’uso distorto o erroneo dele tecnologie. O forse lo è di entrambe, del giornalismo che cerca famelicamente una storia che divida l’opinione pubblica e della medicina, non sempre in grado di controllare i propri sviluppi. In ogni caso, si imporrebbero riflessioni di alto livello, serie e franche: non sempre l’Italia le ha conosciute.

Written by Pitrocchio

14 aprile 2014 at 16:17

Il forcone in una mano, la bomba nell’altra

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A Torino è tornata la calma, almeno in apparenza, sul fronte forconista di cui tanto si è parlato. Muoversi in città non è più un problema e anche se in piazza Derna, l’accesso alla città dal lato nord, da dove partono le autostrade per Milano e Aosta, ci sono ancora un paio di gruppetti di manifestanti, il traffico è ragolare e non ci sono problemi di sorta.

Anzi, a dire la verità, in questi giorni di psicosi da forcone, i torinesi hanno preso poco la macchina, tanto che in molti momenti della giornata si filava che era un piacere su vari viali cittadini – manco fosse agosto. Una cosa buona del Movimento 9 dicembre è arrivata, insomma. Poi, però, mi resta un bel po’ di amaro in bocca quando ripenso a questi ultimi giorni e alla cronaca che li ha segnati. Tanti approfondimenti e molte interviste ancora non mi hanno chiarito alcuni punti oscuri. In questo l’informazione ha fallito, perché mi ha dato tanti interventi di commento, tra politici, sociologi e giornalisti, ma di fatti ne ho visti pochi.

Un’intervista interessante la pubblica ieri (il 13 dicembre) Repubblica: l’incontro è con il portavoce o leader dei forconi, agricoltore piemontese che ha due o tre idee sull’Italia e sul mondo e ama condividerle. Inondando città con proteste mescolate a deliri. Le sue risposte sono la sintesi delle ragioni per cui non ho la minima intenzione di solidarizzare con il movimento: il giusto mix tra protesta che si può legittimare di fronte a un malessere e tra paranoia complottista 2.0. Passare molto tempo su internet, ad Andrea Zunino, non ha fatto molto bene visto che è di nuovo qua a riproporci l’idea delle banche e degli ebrei che dominano il mondo, che condizionano i governi e i popoli e via discorrendo. «Non ho le prove», «Hitler era pazzo, però…». Ecco la farcitura del boccone complottista sdoganato dal Movimento 5 stelle: “L’ho letto su internet”, amen, così sia. Parole in libertà, condizionate dalle solite due o tre fregnacce da blog ‘contro’, riprese dalla credulità popolare che – magari – non ha capacità sufficienti in materia di literacy, numeracy o problem solving ma che sa tutto di signoraggio bancario, macro-economia e via dicendo. Attenzione, però: non sto dicendo che tutto va bene, che le banche non hanno alcun potere o che non esistano interessi occulti alle spalle di potentati politici. Dico solo che questa materia si chiama capitalismo, ca-pi-ta-li-smo. E che funziona così tanto in epoca di crisi che di crescita economica: ve ne accorgete solo ora, dell’ingiustiza del capitalismo? Finché c’era legna per scaldarsi e pance satolle tutto era giusto, tutto era bello: ma visto che ora le pance si sono svuotate, eccoli tutti a berciare contro il loro padre snaturato, il capitalismo che – guarda un po’? – non fa l’interesse di tutti, ma solo dei potentati economici, che accumulano denaro senza redistribuire ricchezza (mai provato ad assaggiare un capitolo o due di Karl Marx? Dell’ebreo Karl Marx? No? Allora tornate pure alle vostre bagatelle complottiste).

Eccola, la gente: «persone semplici», che vantano fedina penale pulita e siderale distanza dalla politica («Non ho mai avuto una tessera»). Passi l’apoliticità, ma perché delle “persone semplici” dovrebbero essere più titolate di un laureato, che so, in Economia a raccontarmi degli squilibri economici? Certo, magari quelle “persone semplici” hanno la partita Iva e sono in bilico tra anticipi di tasse da versare allo Stato e un conto in banca tendente al rosso; e, d’accordo, magari tra essi, nella loro semplicità, ci sono persone disperate e coperte di debiti con le finanziarie. Ma, domanda: a che titolo bloccate la vita di una comunità, le vie d’accesso a una città, l’attività economica di chi vi sta attorno? Vogliamo fare i complottisti? Benissimo, allora mi metto a sostenere, qui, che questi forconi, gente semplice, è al soldo di qualche multinazionale, o di qualche soggetto politico straniero: chi può impedirmi di pensarlo? Metterò in giro leggende metropolitane mescolate a fatti reali che ho visto legati ai forconi. Fight fire with fire.

No, non mi rappresenta questo popolo semplice di complottisti che ritiene di dove diffondere nel mondo verità memorizzate pedissequamente sul www, senza avere la benché minima base teorica-culturale su quanto va sostenendo. «I politici sono tutti uguali», e allora “Tutti a casa”, che a governare ci pensarà qualcun altro. Chi? Gli Elohim, forse? Le sirene di Tatiana Basilio? Papa Francesco? Zunino vuole «un governo provvisorio di solidarietà» – per carità, non un governo tecnico. E chi lo dovrebbe comporre? Chi lo legittimerà? Divertente che lo Zunino abbia specificato che «non vogliamo una giunta militare, anzi»: perché, qualcuno ha forse temuto che la presenza di fascisti ed estremisti di destra fosse una minaccia alla democrazia?

Diciamola tutta, una volta per tutte: i metodi fascisti conducono a risultati fascistissimi, e già l’Italia ne ha avuto esemplari prove dittatoriali qualche decennio fa. Pensate che si stava meglio all’epoca? D’accordo, allora: facciamo un patto. Rinunciate a internet, agli smart-phone e alle diavolerie tecnologiche, alla facilità di spostamenti tra una città e l’altra, alle automobili per tutti, rinunciate al diritto di esporre liberamente un pensiero, rinunciate alle tv di Berlusconi, alle magliette firmate e ai Rayban a goccia, rinunciate alla scuola laica, gratuita e obbligatoria per tutti. Rinunciate a tutto questo, e a tutto quello che vi fa essere così ‘nostalgici’ del ventennio fascista.

Rinuciatevi, e poi ne riparliamo.

 

Piazza Castello, Torino

Written by Pitrocchio

14 dicembre 2013 at 12:24

Un funerale di troppo

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Nelle ultime settimane, due funerali hanno fatto parlare molto gli italiani e i giotnali/telegiornali. Nella loro diversità si fanno portatori di considerazioni comuni che mi passano per la testa in ordine sparso.

Intanto, verrebbe da dire “Buongiorno, Italia! Ti sei svegliata?”: sembra che, per la prima volta, gli italiani si siano accorti degli immigrati di Lampedusa e dell’esistenza oscena di Erich Priebke.  Dove eravamo tutti quando la disperazione di uomini, donne e bambini imbarcati su navi inadatte a navigare approdava sulle nostre coste? Dove eravam quando qualcuno raccontava dei morti durante le traversate? Abbiamo avuto bisogno di vedere le bare, i corpi aggrappati a qualunque oggetto pur di restare a galla? O ci hanno colpito di più le file di cadaveri sul molo di Lampedusa?

Discorso analogo per Priebke, un boia, un vigliacco, un essere spregevole che ha continuato a insultare ciascuna vittima sua o dei suoi sodali ogni volta che ha respirato un profumo, ricevuto una stretta di mano, un sorriso, tutte le volte che ha goduto di qualcosa di bello, o di un ricordo, o di un sentimento. Avremmo dovuto fargli vivere male la sua vita in Italia, cercarlo per cantargli ‘Bella ciao’ ogni mattina mentre usciva di casa. Mostrargli le foto delle sue vittime ogni volta che sorseggiava un caffè, o voleva vedere uno scorcio di Roma. Dove siamo stati quando era opportuno farlo?

Adesso ci troviamo con un funerale che nessuno voleva, ma che è stato celebrato, in qualche modo, nonostante i tentativi di intralciarlo e con un altro, ammantato in teoria dell’etichetta ‘di Stato’ dimenticato nonostante fosse approvato da molti. In entrambi i casi, con la sepoltura si è andati oltre il simbolismo, si è davvero chiuso, nascosto – sepolto, appunto – un passato doloroso.

Non commettiamo, però, lo stesso errore di sempre. Non facciamo cadere queste vicende nell’oblio.

Written by Pitrocchio

16 ottobre 2013 at 10:29

Voglio bene alle fonti

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Quanto sono buone le idee preconfezionate. Masticate, ma non del tutto: da mettere in bocca e dare due colpi di denti, gnam gnam, e poi giù, attraverso il dotto esofageo fino allo stomaco. Dal sapore quasi nullo, per non rischiare che, tra un boccone e l’altro, qualche sapore acidulo o genericamente sgradevole faccia capolino sulle papille gustative: meglio non rischiare, meglio un tenue sapore che di nulla sa.

Riflettiamo qualche secondo su quello che è l’informazione, o il sapere, ai tempi del secolo che stiamo vivendo: la frammentarietà è un pezzo fondamentale della nostra vita. Essere veloci, assimilare di tutto un po’ per non restare indietro su niente. L’industria culturale con questo ci va a nozze: frammenti di nozioni uguale frammenti di pubblico da attirare e accrescere con piccolo sforzo, incuriosendo quel tanto che basta a sovrastare il rumore di fondo per un tempo che – seppur breve – porta quattrini, guadagno, visibilità, credibilità.

Quante cose sono ‘andate di moda’ negli ultimi tempi, diciamo dall’inizio dell’anno? Voglio dire, quanti sono gli ‘argomenti caldi‘ di cui si è parlato, al bar come su internet? Tanti, a memoria. La crisi. I suicidi per colpa della crisi. Balotelli. L’Imu. Berlusconi che toglie l’Imu e restituisce quello che abbiamo pagato. Il presidente della Repubblica. Grillo populista. Grillo comico. Grillo politico antidemocratico. Il Partito Democratico. Renzi. Il Papa, quello che si dimette e quello che lo sostituisce. La parlata argentina. I modi affabili di papa Francesco. La guerra in Mali. E in Siria. Domenico Quirico. Sanremo. Crozza a Sanremo. L’Armata Rossa a Sanremo. L’aereo turistico caduto in Venezuela.

Se butto un’occhiata veloce a Repubblica.it, poi, è tutto uno ‘spizzichi e bocconi’: e non vale solo per il popolare sito d’informazione, ma anche per i telegiornali. Ampie sintesi di qualunnque cosa, professionisti pagati per recensire, tagliare e montare eventi, fatti, concerti, video divertenti o bizzarri, notizie improbabili e curiosità. Non è più in gioco la libertà di scelta sul dove informarsi e nemmeno sul come. Il problema è diventato l’accesso alle fonti: un bene primario e prezioso che sempre più si fa lontano dalla gente. Internet, anziché avvicinare i due poli – fruitore e produttore di notizie – li allontana definitivamente, imponendo la necessità di mediatori che carpiscano, selezionino, commentino e divulghino.

Perché alla fonte, i bocconi sono spesso amarognoli.

Written by Pitrocchio

2 Maggio 2013 at 23:58